mercoledì 27 gennaio 2016

IL FILO TRA NOI SI ALLUNGA MA NON SI SPEZZA

La solennità di questo momento, cara Penelope, richiede tutta la mia capacità di raccoglimento e contemplazione.
Le parole che leggerai fluiscono lente e grevi fuori da me.
Esse sono il frutto di un’esperienza di liberazione profonda.
Questa è l’ultima sera che scriverò tra le pagine di Trama e Ordito.
Ho accettato, seppur con amarezza, che il nostro magico interloquire si arresti per dare spazio ad altro liberandoci da un vincolo che rischia la sterilità. Questo blog è stato salvifico, terapeutico e rigenerante per me, tu lo sai, e separare le nostre strade, recidere i fili che ci legano arrestando il tiro delle nostre schegge d’infinito in questo quaderno di vita, è semplicemente difficile.
La strada di questo addio si incrocia con altri, detti o subiti in questo anno di vita che abbiamo alle spalle. Ognuno di essi ha pesato in modo indelebile sulle mie scelte persuadendomi sempre più di un benefico intrinseco valore del lasciar andare ciò che non ci appartiene più. Al posto di trattenere e stringere testardamente qualcosa o qualcuno a sé, conservare ed impedire il ciclico fluire delle cose, un’energia sommessa ma determinata mi conduce ormai più risolutamente verso un libero abbandono alle sensazioni e alle intuizioni, per quanto scomode.
Questo per dirti che non so spiegarti con esattezza le motivazioni di questo mio allontanamento ma so che devo andare.
Io e te, dopo esserci intimamente incontrate e sommessamente studiate, ormai ci apparteniamo e, proprio come accade al più grande degli amori che giunge al termine, noi resteremo unite nonostante le strade che intraprenderemo.
L’idea di Trama e ordito - Prove scritte di una moderna Penelope nasce, se ben ricordi, da un’ispirazione fulminea e dal mio pulsante desiderio di ricostruzione in un momento della mia vita in cui tutto sembrava essere irreparabilmente distrutto. Nell'anno seguente la mia personale dolorosa separazione, vero spartiacque tra due vite, l’impellente necessità di creare qualcosa di mio volto a fissare in modo tangibile quel particolare momento ha dato le ali a questo fitto groviglio di parole tra noi.
Siamo nate insieme da un atto d’amore disperato e insieme concepiremo il nostro nuovo modo di procedere. Come Ulisse, prendo le distanze da te restandoti dentro come tu fai con me già da tempo ormai.
Stasera ho solo il coraggio di dirlo a me, a noi.
La tua figura mitologica, cara Penelope, mi ha fatto da spalla e contraltare nel cammino verso una nuova me. Hai solleticato la mia curiosità sin dalla mia più tenera età e qui la tua presenza silenziosa e urlante allo stesso tempo, ha innescato profondi meccanismi di amore e odio, confronto e scontro con te e con quel falso ideale di femminilità a cui ti sentivo inizialmente congiunta. Una teoria quella su di te, donna Penelope, che man mano abbiamo smontato e ricostruito insieme, consegnandole connotazioni più concrete e realistiche. Bellezza, fedeltà, pazienza e attesa sono state riviste, decostruite e sostituite da umanità, tenacia, forza e incredibile amor proprio: sei stata oggetto di smacchi e ipotesi avventate, di strattoni e sgambetti da parte mia che mi hanno permesso di creare con autenticità e trasporto una donna autentica, vera, in carne ed ossa, forte e fiera benché colma anche della sua irresistibile fragilità e delicatezza. Un essere luminoso capace di scegliere la propria strada, inciampando continuamente, ma in maniera finalmente autonoma e consapevole.
Questi anni trascorsi a raccontare te e me sono stati gli anni più intensi della mia vita ed hanno concorso a plasmare una dimensione nuova nella quale oggi mi riconosco pienamente.  Il nostro non è stato altro che un intreccio di fili tra le mie storie, le tue vicende e quelle di molti altri che si sono avvicendati in questa incredibile avventura di ricostruzione della tela. Ho criticato in te ciò che non amavo di me ed ho imparato così a riabilitarmi, ho amato in altri ciò che sentivo di non possedere e ne ho stimolato lo sviluppo dentro me stessa, ho temuto di essere te e sperare di poter incarnare il tuo contrario mi ha permesso di combattere demoni e vampiri trasformandoli in angeli protettori.
Ed ora, dolce amica, solo ora che i miei stratagemmi sono diventati infecondi e vani, esattamente come quello da te utilizzato per indugiare nella scelta di un nuovo sposo, la mia tela, cucita con nuovi intrecci e colori finalmente miei, è in via di finitura e non vedo l’ora di appenderla alle pareti della mia casa come il più prezioso dei trofei o di avvolgerla sui miei fianchi come l’abito più pregiato.
Resterà un filo rosso tra me e te che terremo stretto in un religioso silenzio.
Ripensando alle nostre conversazioni mi rivedo, di volta in volta, narratrice e protagonista oppure spettatrice e voce fuori campo di un mondo meravigliosamente incantato, sospeso tra sogno e realtà, in cui conscio ed inconscio ci hanno allungato la mano oppure scorticate vive. Abbiamo danzato, riso e pianto, ci siamo arrabbiate e coccolate a vicenda traendo beneficio da qualsiasi incontro e scontro; ogni esperienza che ci ha avvicinate o allontanate è stata funzionale alla nostra comune meta di redenzione e affrancamento.
Trattengo a stento le lacrime questa sera e mentre le lascio correre liberamente ti sorrido e ti ringrazio.
Grazie cara Penelope!
Avresti potuto soffocarmi con il peso della tua leggenda e del tuo mito e invece mi hai fedelmente accompagnata in un processo di liberazione a cui tutte le donne, prima o poi, vengono chiamate. Ognuna di loro, ognuna di noi ha dei nodi da sciogliere e ricomporre in nuovi disegni di vita. Che ci sia una Penelope per ciascuna di queste donne, una presenza amica e fortificante come tu lo sei stata per me.
 Il filo tra te e me si allunga ma non si spezza.









sabato 9 gennaio 2016

VAI OLTRE

Un nuovo anno è appena iniziato Penelope. 

Dovrei farti gli auguri, raccontarti dei miei buoni propositi ed effettuare bilanci eppure nulla di tutto ciò è nelle mie corde in questi primi giorni dell’anno. La verità è che, contrariamente all'universale e sotteso desiderio di nuovi inizi che percepisco brulicare nel genere umano intorno a me, io ho solo voglia di concludere, tagliare, terminare realtà e situazioni divenute inutili appendici della mia vita e zavorre che mi impediscono di andare oltre.

L’altra sera ho assistito, per la prima volta in vita mia, ad un concerto di musica classica e ho permesso alla mia mente e al mio spirito di vagabondare nei meandri della mia vita. Ascoltavo la musica e osservavo gli strumentisti da vicino. Ho indagato nei loro sguardi e vi ho scorto passione e amore per ciò che stavano facendo in quell'istante, le mosse appassionate delle loro teste e dei loro corpi creavano una movimento generale che esulava, con eleganza, dalla compostezza apparente che un’orchestra sembra mostrare al primo impatto. Tutta quella passione e amore per la musica hanno creato un vortice di energia positiva e vivace che mi ha contagiata dal profondo. Una frase insistente ha iniziato a ronzarmi dentro come un lieve sussurro che a fine concerto si è tramutato in un urlo e mi ha detto “Vai oltre”. Io e te, dolce amica mia, sappiamo dare significato all'andare, sole e senza appoggio, e all'oltre, al di là di un orizzonte non sempre limpido e visibile.

Per andare oltre, cara Penelope, per farlo veramente è necessario rinunciare al consueto e all'ordinario, alla cosiddetta zona di confort, costruita su false certezze volte a tranquillizzarci ma non a renderci davvero felici. Quella musica impetuosa e suonata con divina maestria mi ha ricondotta davanti a tutti i fotogrammi stanchi e appannati della mia vita dandomi uno scossone violento e costringendo a guardare tutto ciò che è (ancora una volta) con disarmante verità. 

Ho fatto molta strada in questi anni e l’ho fatta con te al mio fianco ma ora so che è giunto il momento di procedere sola. Mi sto preparando al distacco da te Penelope, e da molto altro, in questo nuovo inizio di anno.

Giunge l’ora di re indirizzare forze ed energie vitali verso un campo più ristretto di passioni e di persone. E' momento di scegliere e abbandonare per poter creare davvero ciò per cui sono giunta qui.

Mi preparo ad abbandonarti e lasciarti andare davvero.




martedì 22 dicembre 2015

DONOPERDONO

Torna il Natale, Penelope mia, e con lui questo tempo dell’anno che amo definire “aperto”: una zona franca in cui tutto sembra essere concesso o così mi piace credere. Questi sono giorni in cui cediamo inevitabilmente il passo, al di là di ogni credo religioso o principio, alla dolcezza, alla tenerezza, ai vizi e alle coccole. Veniamo inspiegabilmente guidati da un calore senza pari che trasforma, in modo perlopiù illusorio, musi lunghi, durezze e noncuranze imposte dal nostro vivere sempre troppo frettoloso.
Non sono più una bambina, dolce amica mia, eppure oggi amo accogliere questa ricorrenza con gli occhi di una fanciulla che vive senza i filtri occultatori e ingannevoli della ragione e delle convenzioni. Negli ultimi anni mi sono pianta addosso sostenendo davanti a tutti e a me stessa di non amare più il Natale, vissuto erroneamente come l’icona sbiadita e illusoria della famiglia perfetta che credevo di possedere un tempo. Sono stata molto superficiale, Penelope, e dedita al vittimismo più bieco e decadente sperando di concentrare tutte le attenzioni su me stessa, sventolando ai quattro venti questa falsa verità. Oggi, però, sento di aver superato, anche se solo di qualche piccolo passo, il mio ego sabotante e sono pronta a colorare questi giorni con le tinte più autentiche di un’altra verità:
Amo il Natale e la malinconia che esso accende in me.  
Considero questa festa l’occasione, più democraticamente confezionata, per supplire ai vuoti e alle mancanze che ognuno di noi si porta dietro dai tempi dell’infanzia: a Natale, infatti, accadono fenomeni inspiegabili, piccoli miracoli che intiepidiscono anche i cuori più duri e incalliti. Le famiglie si riuniscono cercando, a volte goffamente, di ricostruire un’atmosfera conviviale e dedita al ricordo del passato, le incombenze lavorative assumono un ritmo più accettabile, le corse si arrestano e si può finalmente usufruire del dono più bello. Il tempo
Ci si ritaglia il tempo per cucinare insieme, per parlare, rivedere le proprie priorità, ascoltarsi e dare un bacio e un abbraccio "ben dati". Ricordo Natali passati a vedere un film con tutti i componenti della famiglia, a giocare a carte, a cercare le musiche che accompagnarono la giovinezza di nonni e genitori o a guardare quelle foto in cui ti rivedi figlia e nipote, non solo madre. Il riposo e la sosta rendono gli animi meglio disposti gli uni verso gli altri e il resto della magia natalizia rende più agevole l’incontrarsi, il donare, il ricevere e il perdonare. Questi sono gli aspetti che mi emozionano nel mio attuale Natale. 
Proprio in questi giorni ho letto “E' il perdono che ci rende unici”.
Questa frase era all'interno di un magistrale passaggio del libro Shantaram, di G.D. Roberts, cara Penelope, e non riesco a togliermela di mente, come se ci fosse una misteriosa energia che mi costringe a soffermarmi su questo complicato concetto di perdono che sento essere collegato in maniera inscindibile al dono.
Di cosa si tratta, mia regina dell’attesa misericordiosa? Realtà o utopia?
Questo passaggio è meraviglioso e lo trovo particolarmente adatto ai giorni che verranno:
“Senza perdono la nostra specie sarebbe distrutta in una serie di faide senza fine. Senza perdono non esisterebbe la storia. Senza la speranza del perdono non ci sarebbe l’arte, perché l’arte è in qualche modo un gesto di perdono. Senza il sogno di un perdono non ci sarebbe amore, perché ogni atto d’amore è in qualche modo una promessa di perdono. Viviamo perché possiamo amare, e amiamo perché sappiamo perdonare”.
La definizione di perdono è banalmente riassumibile nella cessazione di qualsiasi sentimento di risentimento nei confronti di un altro essere vivente che ci ha fatto un torto o di noi stessi. Si tratta di rinuncia alla vendetta e alla rivalsa in favore di un dono gratuito da elargire all'altro, a chi ci ha offeso. Ma non è tutto qui. Il perdono è molto di più; è un atto di pace, misericordia pura, un gesto d’amore che personalmente considero appartenente alla sfera divina più che a quella umana.
Eppure il passaggio nel libro non lascia adito a dubbi: la capacità di perdonare è la discriminante unica che caratterizza l’essere umano rispetto alle altre specie viventi. Sì insomma, ci differenziamo dai cani e dalle scimmie o dalle piante e dai fiori per la nostra unica e irripetibile capacità di perdono. 
L’etimologia della parola risiede nel DONARE PER: dare, elargire, concedere, offrire. Sì ma cosa? Cosa si dona all'altro attraverso questa nobile azione e rara capacità dell’animo?
Concedo forse il mio oblio, la cancellazione di ciò che è stato o la mia indifferenza? Se fosse così, sarebbe facile. Se ingoiassi e accettassi l’accaduto, un torto subito o un’ingiustizia, il perdono non risulterebbe un gesto poi così nobile. Tutto muta, invece, nel momento in cui riammetto l’altro, o addirittura me stesso, a far parte della mia stessa vita, concedendo una redenta seconda possibilità, dopo aver compreso, accettato e superato l’accaduto.
Il perdono presuppone un enorme lavoro su se stessi, cara Penelope, e solo dopo aver messo da parte l’ego, e aver compreso, pur senza dimenticare o accettare ciecamente, è possibile trasformare la rabbia e il dolore in dono per se stessi e poi per l’altro. Ecco allora che il dono, elargito a Natale o in qualsiasi altro momento dell’anno, diventa un gesto simbolico di concessione di una parte di sé che, dopo atroce sforzo, si decide di lasciar andare. Perdonare è lasciar andare via un pezzo di sé con l’altro per far posto al nuovo. Un dono, se fatto con amore, si trasforma in scambio, ricerca, attenzione e, sopra ogni cosa, incontro.
Chi non lascia andare mai nulla e trattiene rabbia, ricordi dolorosi e desiderio di vendetta, senza tentare una vera riconciliazione innanzitutto con se stesso, non otterrà mai nulla da donare gratuitamente e non possiederà l’umiltà necessaria nemmeno per ricevere e godere della bellezza di un dono. 
Chi non perdona è destinato a perdere e perderà. 
Chi non giunge al perdono compie, a propria insaputa, un’azione di distruzione impedendo qualsiasi tipo di costruzione o progetto.
Diglielo tu ai rancorosi e incapaci di perdono, dolcezza dai capelli di seta, urlaglielo in un sogno o mentre sono in coda nel traffico, fallo tu per me!
Poi riposati Penelope, ne hai bisogno.
Auguro a te, in questi giorni di magia, la gioia di molti incontri e a me la possibilità di elargire sempre più parti di quella fanciulla che danza in modo instancabile e fiero, indipendentemente dalla musica presente in sottofondo. 
Buon Natale Penelope!



sabato 5 dicembre 2015

CAPELLI DI SETA

Dea dai lunghi capelli di seta, oggi mi siedo accanto a te in un nido di muta sorellanza, e spazzolo con cura le tue lunghe ciocche. Tesserò la tua chioma, ne farò trama e ordito di un’anima che ogni giorno inesorabilmente si trasforma e cambia.

Nel nostro fitto silenzio, colmo di ogni parola, m’imbatto nei nodi della tua capigliatura e il pettine, a tratti, si arresta. Non vorrei farti male ma un lieve strappo e un piccolo dolore sono necessari per procedere oltre: utilizzo dell’olio come unguento per ammorbidire il passaggio del pettine ma non è sufficiente per anestetizzarti dal dolore. Stringi i denti e abbi un po’ di pazienza!

Mi rendo conto che una tale richiesta presuppone spalle larghe e capacità di accettazione pura oltre che una certa gratuità da parte di colui o colei a cui viene fatta tale preghiera ma a chi posso chiedere una tale virtù se non a te?

Ti chiedo di avere pazienza perché mi sono inceppata e rischio di aggrovigliarmi su nodi che potrebbero diventare matasse. Ci vuole strategia, amica mia dolcissima, ed io sto perfezionando la mia. Sono partita per un viaggio Penelope, un viaggio dentro me, attraverso i meandri più insondati del mio inconscio. Più volte mi sono avvicinata a certe energie senza mai avere il coraggio di andare oltre ma ora è diverso; la forza mi accompagna e non ho più paura di “vedere”. La mia miopia mi obbliga a guardare le cose da molto vicino altrimenti rischio di percepirle in maniera sfocata e approssimativa. Arriva il momento di abbandonare i colori della paura e disimpararne il linguaggio. Credevo di aver smesso quei panni e invece mi accorgo che sono sempre lì, buttati sul letto, pronti  per essere indossati.

La paura è connessa ai muri, amica mia. Muri innalzati dal tempo, durezze incancrenite dall'orgoglio, barricate che il silenzio ha reso apparentemente salde e inespugnabili ma che non hanno finalmente più alcuna ragione d’essere.

Ho sprecato giorni, dolce Penelope, anni della mia vita a recriminare, analizzare e credere di essere dalla parte della ragione e ora dico che è finito il tempo. Non ho più l’età per fare i capricci e tenere il broncio. Ho sempre rimproverato i silenzi, i non detti, gli ambigui allontanamenti e poi sono stata io la prima a non differenziarmi. Provo sincera pena per chi, come me, si è trincerato dietro i muri invece di prenderli a sassate per farli crollare. Mi sento debole e mancante, amica mia, e queste sono le ragioni dei miei blocchi, dei nodi tra i tuoi capelli, dell’incedere faticoso del pettine.

Corro ai ripari, magica presenza, e finalizzo tutta l’energia che riesco a generare dentro me per infiammare nuovamente il cuore di fuoco vivo e vero che possa contagiare quelli più atrofizzati e stanchi. Ti pettino dolce amica e i miei occhi sorridono al pensiero di noi due: in questi quarantadue anni abbiamo inconsciamente condiviso un susseguirsi di cicli in cui mente, anima e corpo si sono susseguiti in costanti alternanze di luci e ombre. E i cicli, cara amica, sottintendono sempre una finalità.

La mia era rinascere e, bene o male, l’ho fatto. Qual era la tua?

Io e te legate da un filo fatto di amore e odio, ai due estremi opposti, di abbandono e amore verso la parte più centrale del laccio che ci tiene unite. 

E se lo tagliassimo? Se avessimo il coraggio di prendere con audacia e autenticità ognuna la propria strada? Ci hai mai pensato?

Io sì.




martedì 27 ottobre 2015

LA STORIA DI UN PUNTO IMPERTINENTE

Nuova linfa scorre tra te e me, Penelope, ora che mi sono messa in ascolto. Dare voce a te è come attingere acqua da un bacino mai vuoto e nutrirmi di un cibo corroborante e colmo di energia rinnovata.

Percepisco la tua sfaccettata natura e sento il tuo grido di donna colma di intuizioni la cui attesa non è mortificante bensì vivida e fulgida: se non avessi davvero creduto in quell'attesa, durata vent'anni, te ne saresti andata. Ne sono certa.

Credo in una sorta di presagio della mente e, ancor di più, in quella dello spirito. Ho fede nelle profezie di quell'occhio dell’anima che, se allenato con esercizio costante, vede al di là del contingente e attinge la sua sapienza da un archivio universale e accessibile.

La mente si rafforza, lo spirito si struttura e il cuore canta ciò che è e che sarà, Penelope.

Non sono pazza. So che mi comprendi perché anche tu, senza follia alcuna bensì con determinata certezza, hai invocato le forze dell’Universo per il ritorno del tuo amato. Hai riposto la tua fiducia non direttamente in lui ma in ciò che ruotava intorno a lui e poi ci hai creduto. Un atto di fede il tuo.
Una tale prospettiva ha cambiato ogni cosa e ha dato un senso alla tua attesa colorandola di un alto significato che perdura tutt'oggi al di là del risultato. In altre parole, hai atteso per istinto, per passione e perché sapevi che quella, e lei sola, era la strada percorribile in quel momento della tua vita. Quando la motivazione è forte e profonda non ci sono venti o bufere che ci possano scostare dallo scoglio che abbiamo scelto. Restiamo lì, seppur colmi di paura, integri e pieni della nostra intima convinzione.

Il concetto di motivazione è ciò che attira la mia attenzione in questi giorni di fine ottobre.

Ciò che ci muove e conduce a compiere azioni apparentemente illogiche indirizzando le nostre vele in direzioni che nessuno comprende, se non noi stessi, racchiude in sé un mistero insondabile. Voglio arrivare all'origine del segreto. Sempre che sia possibile.

Per me, dolce amica, si tratta di una folgorazione, un’intima certezza che ci coglie in modo totale e perfetto in alcuni rari momenti della vita. Una sensazione di beatitudine assoluta a cui si giunge naturalmente dopo aver appreso la difficilissima arte dell’ascolto. In molte occasioni della mia esistenza mi sono ritrovata davanti ad un bivio, ad una risposta da dare, ad una decisione da prendere o semplicemente ad una scelta da compiere e in altrettante non mi sono ascoltata.  Ho vissuto per interposta persona, ho delegato le mie decisioni al giudizio altrui, mi sono appoggiata a qualcuno oppure ho proceduto con la testa, la razionalità.

Oggi, mi ritrovo a pensare di non aver mai davvero scelto o vissuto fino a che la motivazione di ogni mia azione è stata dettata da un agente esterno, da un consenso o da un incoraggiamento che non provenisse dal mio profondo. La motivazione, Penelope, quell'intima certezza che ti rende sicuro dei tuoi passi, è tale solo se proviene da un angolo buio e nascosto di te e ti fa brillare al solo pensiero di poterle dare fiato e spazio. Avanza sorda da quando sei venuto al mondo ma si scontra contro muri, vetri, montagne di convenzioni e finti assunti di vita. Sono i falsi dogmi educativi e culturali con cui cresciamo e senza i quali ci sentiamo persi e disorientati. Non importa se ci imprigionano e ci privano del vero significato della parola libertà che, come sentivo oggi nelle parole di una canzone, "è una parola semplice se non ne conosci il significato".

Ma poi, Penelope, per tutti, arriva un giorno. Arriva quel giorno in cui:

-          Ehi che ci fai qui?
-         Come che ci faccio qui?
-         Si dico qui. In questa casa dalle pareti bianche, senza colori. E i tuoi giochi? Dove li hai messi? Le bambole, i peluches, i dadi del gioco dell’oca …. dove sono finiti? Ne avevi scatole piene.
-         Ma per favore. Io ci vivo qui. Guarda che ho da lavorare, ho la mia famiglia, i figli. Cosa credi? Non ho tempo per giocare.
-         Uhm che tristezza. Non hai tempo per desiderare, direi io.
-       Guarda un po’ te che impertinenza! Ma chi sei tu? Da dove vieni e soprattutto come ti permetti di importunarmi?
-         Non importa chi sono
-         Si che importa. Da dove vieni?
-         Non importa da dove vengo anche se voglio svelarti un piccolo segreto.
-         Quale?
-          Vengo da te!
-         Da me? Non capisco
-          Si. Io sono un punto. Un semplice punto e provengo da te.
-         Questa è bella!
-        Non sai quante volte mi hai nominato, invocato e disegnato.
-        Io?
-       Si tu. Mi hai cercato incessantemente in tutti questi anni ed ogni volta che riuscivi ad individuarmi iniziavi a tirare una riga. Procedevi per qualche tempo in una direzione e poi….
-          E poi la piantavo lì. Vero?
-        Sì. Esatto. Smettevi di disegnare. Smettevi sempre anche quando la riga era diventata una curva e poi una figura. Abbozzavi e poi..
-         E’ vero! Cessavo nel bel mezzo del divertimento, senza sapere perché.
-        Mi abbandonavi. La mano era come atrofizzata e io vedevo il tuo sguardo velarsi e diventare opaco, come se qualcosa ti impedisse di vedere limpidamente.
-         E’ accaduto ogni volta in cui non ho creduto nel disegno in cui ti stavo trasformando. Partire da te, piccolo punto, è semplice ma proseguire arrivando fino al termine dell’opera non lo è altrettanto, credimi.
-         Cedevi la matita ad altri o non eri certo di ciò in cui volessi trasformarmi. Non sapevi cosa e perché.
-          Sì, non avevo il disegno ben chiaro in mente. Soprattutto non avevo fiducia nelle mie capacità artistiche. C’era sempre qualcuno più bravo di me. Capisci?
-          Intuisco il concetto. Ma ora basta recriminare. Sei pronto a tenere la matita in mano e non staccarti dal foglio fino a quando non avrai terminato?
-          Sì, credo di sì
-     Hai una motivazione valida per arrivare fino al termine del disegno?
-          Sì ed è proprio perché la conosco che… ti coloro di rosso.

Non smettere di tessere, Penelope.



domenica 18 ottobre 2015

UNA PAGINA BIANCA IN DONO

Penelope,

non troverò scuse per il mio silenzio. 

La verità è che il desiderio pulsante di raccontarti di me è venuto meno così come la volontà di renderti partecipe della mia vita, motivazioni che finora sono bastate per scrivere queste schegge di parole che vagano nel web. Ho finalmente raggiunto quella fase in cui non è più necessario condividere per sentirmi viva e apprezzata ma raggiungo appagamento e soddisfazione anche nella mia riservatezza e solitudine. Tu sei presenza e assenza, cara Penelope, specchio e luce, roccia e sabbia sfuggente ma io ho finalmente compreso di esistere e valere indipendentemente dalla mia presenza qui e da te. 

La mia tela colorata e preziosa sta per essere rimossa dal telaio che le ha dato vita per far brillare i suoi arcobaleni nelle stanze in cui verrà esposta. Non so ancora cosa significhi per noi tutto ciò, ma so di trovarmi in prossimità di un altro guado che apporterà cambiamenti e novità.

La mia personale concezione di condivisione sta variando in parallelo alle mie esperienze e alla mia crescita personale. Un tempo condividere implicava un insano egoismo di fondo che presupponeva l’ottenimento di un tornaconto in termini di consenso e visibilità. Si insomma, si può condividere per pura gioia e trasporto oppure per trarne vantaggio e avere un'approvazione senza la quale ho personalmente rischiato, per molto tempo, di sentirmi persa, vuota ed inutile. Purtroppo la condivisione finalizzata o indirizzata, cara Penelope, manca di autenticità e gratuità.

I nostri scambi, amica di molti giorni, sono stati funzionali alle mie esigenze: la tua presenza ieratica e silenziosa mi ha dato modo di esprimermi e ritrovarmi così come il tuo muto consenso. Mi hai messa in crisi con la tua storia, mi hai aiutata a distanziarmi da te e a trovare una mia personale direzione così come ad odiarti o ad amarti oltre ogni aspettativa. Sono stata te e altro da te; ti ho rifiutata, compatita, derisa, allontana e voluta al mio fianco e ho preso, preso e ancora preso in maniera incondizionata ed egoista. Ora basta. Nell'accezione stessa del termine “condividere”, il dare tiene per mano il ricevere, unici e inscindibili nutrimenti dell’amore e della libertà.

Si tratta di fili e di direzioni, di dritti e rovesci, di nodi e tagli che vanno apportati quando si crede di essere giunti ad un altro traguardo della propria vita. Un gradino sceso o salito, poco importa, ma un passo nella direzione della consapevolezza va sempre e comunque sancito con un patto, un segno, un simbolo. E allora oggi, cara amica silenziosa, io ti comunico che il mio traguardo è il cuore, l’amore vero e autenticamente ritrovato per me stessa, la consapevolezza sempre più lucida dei miei limiti e delle mie contrastanti e conviventi nature, la pacificazione con il passato e con chi mi ha generato, la piena presa di coscienza della solitudine umana come condizione privilegiata per qualsiasi tipo di viaggio. Il mio traguardo è l’amore, faticoso e screziato da mille sfaccettature che si nutre di realtà e di sogno al tempo stesso; l’amore che non rende vittime ma costruttori e protagonisti del proprio tempo, l’amore che è in grado di dare e di espandersi.

Questo è il mio attuale traguardo e voglio sancirlo con un patto: condivisione pura e scevra da qualsiasi ritorno o tornaconto personale. Ti rendo il favore, regina del telaio, promettendoti ascolto incondizionato, gratuità piena, autentica verità e partecipazione puntuale in queste pagine.

Tu sei il mio alter-ego, opposta a me eppure così simile, di cui oggi accetto forze e debolezze. Con amore.


Riscriviamo i nostri codici, ripartiamo da chi siamo oggi, consapevoli delle parole dure che ci siamo scambiate e assumendoci anche le responsabilità dei silenzi.

Ti dono una pagina bianca su cui sintonizzare le nostre nuove energie ed essere finalmente complici.





martedì 22 settembre 2015

TAGLIO BARBA E CAPELLI!

Amo le parole ma ultimamente tendo a pensare che ne vengano pronunciate e scritte troppe, su tutto. Sono io la prima a farne di inutili.

Mi ritrovo con sorpresa a godere della semplificazione, dell’abbattimento delle barriere che troppe parole, inevitabilmente, creano. Sì insomma, contro ogni aspettativa, credo nel decluttering intensivo e continuativo delle cose, delle parole e dei pensieri inutili.

Facilitiamo le cose Penelope!

Un caro amico, ieri, mi ha informata di aver rasato via tutto, barba e capelli, e alla mia stupida domanda “Perché?” mi ha risposto “perché rappresentavano il superfluo, ciò che non desidero più nella mia vita”. E alla mia piuchestupida obiezione “Si, ma stavi bene! Ti piaci ora?” lui risponde “Certo. Ci sono nato così”.

Nulla di più ovvio. Siamo nati privi di peli e orpelli ed è proprio quello stato primitivo di natura che dovremmo recuperare un po’ tutti e in tutti i sensi.

Siamo bombardati, ormai da tempo, dalla filosofia virtuale volta allo sbarazzarsi del superfluo per vivere meglio: ovunque si parla incessantemente di “decluttering”, di sgomberare gli spazi esterni e interni dalle zavorre per fare spazio al nuovo e ricollocare i vari elementi con un ordine dissimile al precedente.

Ma innanzitutto, Penelope, cosa è superfluo? E poi, serve davvero eliminare oggetti e pensieri per fare spazio al nuovo? Tu cosa hai gettato nel tuo percorso di vita e perché?

Credo che la concezione stessa di anima possa dare tutte le risposte.
Per anima intendo la parte vitale e spirituale di un essere vivente, l’IO, la coscienza, l’essere nella sua accezione più profonda.

Lasciandola decantare così come si fa con un buon vino d’annata, ossigenandolo per qualche istante, è l’anima stessa, la nostra essenza vitale, a mostrarci chiaramente cosa sia superfluo e cosa no. Quando si consapevolizza la presenza di questo particolare sensore dentro di noi la scelta diventa quasi obbligata e improvvisamente tutto ciò che non combacia con la sua natura diventa accessorio, inutile, da gettare via. E’ una questione di aderenza, o meglio, di coerenza istintiva. Esistono cose, situazioni e addirittura persone la cui presenza nella nostra vita diviene, ad un certo punto, innaturale e conduce all'inautenticità dell’essere o del rapporto stesso. Può trattarsi di un abito che non ci rappresenta più così come di un amico che non sentiamo più sintonizzato o di un amore che non trova più la vera motivazione del suo esistere.

L’anima ci manda mille segnali di insofferenza e un giorno, nel migliore dei casi, decidiamo di seguirli.

Concretizzare i dettami dell’anima è solo questione di coraggio e quest’ultimo affinché non diventi una chimera nella vita, va semplicemente allenato. Piccoli atti coraggiosi conducono a grandi gesta. Qualsiasi dettame giunga da meandri tanto profondi e innati non può che costituire la giusta direzione per la nostra nave.

Ti offro, cara Penelope, la possibilità di rileggere la tua storia alla luce dell’anima che, se nutrita e seguita, crea altra anima rendendo intrepido e mai noioso il nostro andare. Perché essa non segue le logiche della ragione ma solo quelle della natura, della terra e dei venti che agitano i mari. E a pensarci, la tua vita e quella del tuo sposo è stata ricca di accadimenti e audace come tutti vorremmo che fosse una vita.

La risposta del mio amico “Certo che mi piaccio. Sono nato così” traduce in modo semplice questo concetto di integrità e naturalezza che dovrebbe essere alla base di ogni nostra scelta. Tutto il resto appare inautentico, sleale e pertanto inutile proprio perché lontano dalle origini della nostra fonte e dalle viscere.

In verità, ho sempre trovato molto difficile sbarazzarsi e gettare via le cose, per natura sono una che “tiene” e ha una scarsa capacità nel lasciar andare le cose e ancor di più le persone. Soffro i distacchi e l’abbandono mio, degli altri o dagli oggetti a cui tengo è lo spettro contro cui combatto la mia personale lotta da quando sono nata. Eppure oggi, dopo un po’ di vita, ricerca e introspezione, giungo alla conclusione che i tagli, anche quelli che rimangono incisi dentro e sanguinano senza fine, siano necessari e salutari se supportati da una forte intuizione interiore, da un impulso leale. Spesso il dolore da essi generato è l’unica cura.

Leggo, Penelope, leggo molto per cercare risposte e rafforzare quelle piccole intuizioni che pian piano diventano certezze e questa frase che trovo in Donne che corrono con i lupi della Clarissa P. Estés mi dona aria per respirare quando serve:

“Ci vuole un cuore desideroso di morire e rinascere e morire e rinascere e così via”.

Perché abbandonare dietro di sé qualcosa o qualcuno è un po’ come morire ma senza quella ferita che impareremo ad amare e riconoscere non è possibile rinascere e guarire. Così come non può esserci vita senza la morte, non può esistere amore senza dolore e verità senza l’abbandono di ciò che vero non è.

Chi si taglia barba e capelli e interagisce finalmente con un volto sgombro e pulito mi ha fornito lo spunto per riconoscere l’importanza dell’operare nella vita liberi dagli ostacoli di qualsiasi natura senza nascondersi. Ci si deve ripulire, Penelope, dalle scorie che generano mancanza di vita e slancio puro, accettando il rischio di sentirsi nudi, spogli, senza barriera e difesa.

Barba e capelli folti mi riportano all'immagine di Ulisse.

Ma tu, intrepido eroe del mare, avresti il coraggio di tagliare tutto? 

Mostrati!

Penelope, ti passo le forbici.